
Uncle Faust “S/t”

2020, Wallace Records, Ticonzero
Handcrafted CD
È tempo di side projects per i membri di casa Plasma Expander.
Dopo l’ottimo esordio dei Nairobi di Andrea Siddu è ora il turno di Fabio Cerina e dei suoi Uncle Faust: non proprio una novità, dato che il progetto nasce nel lontano 2008, anno in cui il musicista sardo inizia a registrare in proprio le prime composizioni, e da allora ci sono state varie apparizioni live, con differenti formazioni. Stabilizzatosi in trio con Raffaele Pilia (classical/prepared guitars, synth) e Antonio Pinna (percussioni e clarinetto), Uncle Faust registra questi cinque brani nel 2017 che, dopo una lunga gestazione, overdub, missaggi e mastering, vedono finalmente la luce grazie a Wallace Records e Ticonzero come prima uscita ufficiale.
L’iniziale Minuendo prende il via dal drumming di Pinna, presto accompagnato dalle chitarre di Cerina e Pilia che si intrecciano e si rincorrono in una jam session dall’equilibrio precario che si fa sempre più caotico, con l’ingresso nel finale della voce trattata e allucinata dello stesso Cerina, che sarà leitmotiv dell’intero album. Le atmosfere vagamente jazz della traccia iniziale lasciano il posto con Never with the Day a un ossessivo mantra weird folk venato di psichedelia sixties, tra percussioni tribali, il basso dell’ospite e conterraneo Matteo Muntoni che fa vibrare lo stomaco e un intreccio di chitarre di sabbia che prima si stratifica e si appesantisce, poi si diletta in calligrafie pregiate che si mantengono salde anche quando il dialogo sembra deragliare.
Badly Broken Mandarins parte sottovoce, tra voci sussurrate e percussioni silenziate. Fantasmi di synth e un tripudio di campanelli evocano scenari da un passato indefinito, una Sardegna ignota e oscura. Rituali ancestrali su cui si innestano prima la chitarra inceppata di Cerina e poi le arie blues e fumose del sax tenore dell’altro ospite, Marcello Carro, con la voce elettrica di Fabio ad aggiungere ulteriori coltri di nebbia al tutto. Uno scivolare fluido tra speroni di roccia. In The Blue Rubber Eraser chitarra e batteria si accordano in un incedere marziale e saturo di elettricità, mentre l’altra chitarra svisa in primo piano, sinistra, con Cerina evoca i suoi demoni. Un crescendo di tensione che si fa ossessivo, in una sorta di jam che incappa nel consueto binario sbagliato. La chiusura è riservata a Sugar Cables, l’episodio più accessibile del lotto ma non per questo meno piacevole e interessante, anzi: un groove di chitarra solido e trascinante sul quale si erge un crescendo di atmosfere psichedeliche che evocano scenari folk di un immaginifico, immaginato passato isolano. Un viaggio di oltre sette minuti, potenza e rapimento, degna conclusione di un viaggio breve, ostico ma assolutamente intenso.